L’innamorato guarda il disilluso come fosse un povero pazzo. Il disilluso guarda l’innamorato come fosse un povero idiota. Tutti e due hanno dimenticato che una volta il disilluso è stato innamorato (così tanto che non poteva pensare ad altro, tanto da domandarsi perché non esistesse un congedo amoroso dal lavoro, per esempio) e che l’innamorato è costantemente minacciato dalla disillusione. Si cammina su quella linea sottile di pazza idiozia, scambiando le parti, convinti di aver capito tutto, una volta di qua, una volta di là: l’amore rende presuntuosi quanto il disamore.
Io però la minaccia della disillusione passata voglio tenerla presente, ricordare. Ricordo che quando si dice la frase “dobbiamo parlare” quasi mai c’è ancora qualcosa da dire. Ricordo gli sguardi che non si incrociano mai, il terrore di trasformarsi in statue di sale vedendo negli occhi dell’altro quello che vi siete lasciati alle spalle, il futuro. E poi quella domanda frequente per colmare il silenzio “ce l’hai con me?” e la risposta che è sempre un “no, perché?” stranito, di chi cade dalle nuvole, ma il perché lo sai, lo sa, ce l’avete con voi stessi, perché vi eravate giurati amore eterno, solo che lo avevate giurato sul vostro amore che eterno non era. Ricordo le assurde stravaganze nella comunicazione. Tu, mia cara, hai sempre parlato ad alta voce, sei figlia di maestra, a casa tua si urlava, ci si sgridava, ci si mandava dietro la lavagna. Ora invece sussurri, soffi le frasi, che sono spifferi freddi, “domani hai il dentista”, “ricordati di chiamare tua madre, è il suo compleanno”. E lui ti guarda con la faccia contratta perché non sente, cerca di leggerti le labbra, le tue labbra non le cerca per nessun altro motivo. Ricordo anche una volta che proprio tu l’hai chiamato “amore” per sbaglio, cucinavi forse, eri sovrappensiero, “amore” e te lo sei rimangiato subito, nemmeno avessi detto un nome sbagliato tra le lenzuola. Lui non ha risposto, ha fatto finta di non sentire, per non aumentare l’imbarazzo. E poi c’è la posizione dei corpi. Ricordo l’inizio quando vi guardavate di fronte, eravate il reciproco obiettivo, l’oggetto del desiderio. Ricordo che vi siete presi per mano, avete fatto un quarto di giro e vi siete trovati uno accanto all’altra, vicini, l’obiettivo era fuori, un orizzonte comune. E poi un quarto di giro ancora, quello fatale, avete preso a spogliarvi dandovi le spalle.
Ricordo il disamore, mentre accade, che non è un temporale improvviso, è più un lento cambiamento climatico finché una mattina finisci per trovarti un orso polare su un iceberg in cucina. Ricordo il purgatorio che è l’amore quando esaurisce. Voglio ricordare che da quel purgatorio in terra, a differenza da quello dei cieli, lo si può attraversare più di una volta e ti fiacca lo spirito e l’anima. Voglio ricordare quando sorridere era una fatica che faceva male, rilasciavi acido lattico dallo sforzo, voglio ricordare che è uno sforzo che non voglio più fare.

Foto: Officina Calzelunghe di Elisa e Susanita.
Non ci sono parole migliori per descrivere questa fase, parola di chi ci è dentro !
Narrare con poesia quei momenti in cui il freddo ti entra e sembra non andarsene più…
” L’Amore è per i coraggiosi, tutto il resto è coppia ” E Alberti
Questa frase è in perfetta armonia con il pezzo di amara verità letto pocanzi…
Stupendo e vero questo pezzo.
e poi con una messa in piega malriuscita da quel cafone di un parrucchiere, altro che temporale improvviso