Le donne e le maledette calze da figa.

Per anni ho contestato lo sciocco pregiudizio che vuole i francesi stronzi, poi ho provato a indossare un paio di parigine e ho avuto voglia di riprendermi Nizza, all’inno Liberté, egualité, mettiteleté. Sono belle da vedere, ma la loro funzione è puramente decorativa. Servono solo per fare le foto su Instagram con le gambe accavallate accanto a un libro di Rupi Kaur e a una tazza di tè caldo. Perché nel momento in cui ti alzi, lasci Kaur e fai due passi, esse da Parigi scendono verso Marsiglia.

29664088_10156379315392848_1699044252_n.jpgMa tu le hai comprate e non demordi, “vi solleverò dalle correnti gravitazionali” canta la tua determinazione a essere carina e maliziosetta. Quindi passi il tempo a tirartele su, ogni momento è buono: Parigi val bene una mossa, solo che sembri una cretina con la sindrome di tourette. Ti salvi solo se hai figli piccoli perché penseranno che tu stia mimando la simpatica canzone “l’elefante l’elefante con le ghette se le toglie e se le mette”.

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Una volta ho chiesto a una commessa di Calzedonia come facesse lei: “Ma mica si mettono sulla pelle nuda le Parigine, devi infilarle su un altro paio di calze di nylon” mi ha detto (Ah! Vuoi vedere che dopo anni e anni di scomodissimi tanga nel sedere, scopro che dovevo metterci sotto i mutandoni della nonna per limitare il fastidio). Il doppio strato non ha senso! Si rischia la combustione per attrito scintillante. Io invece stavo  pensando di farmi crescere dei peli ispidi in maniera che ci sia maggiore grip, il famoso effetto velcro. Parigine del cazzo, io vi odio e da oggi mi sta sul culo anche Sophie Marceau, per una questione di prossimità geografica.

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Comunque tutto è iniziato con le calze bianche traforate e le scarpe di vernice nera con gli occhi. Dopo Le colline hanno gli occhi, anche le maledette scarpe di vernice li hanno e fanno molto più orrore. Le calze bianche traforate strizzavano il polpaccio e trasformavano la carne sottostante che fuoriusciva dai fori in pluriball. Tipo che tuo cugino si divertiva a farli esplodere le gambe come antistress. Le calze bianche forate  almeno non hanno un nome evocativo ingannevole riferito a una capitale europea, sono stati onesti dal punto di vista del marketing, non le hanno chiamate nemmeno Frejus come il traforo o le Elvetiche per via dei buchi dell’Emmental. Sono calze bianche di merda, non fingono di essere altro, sono semplicemente uno strumento con cui le nostre madri si vendicavano dei dolori del parto.

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11 thoughts on “Le donne e le maledette calze da figa.

  1. Le calze bianche le ho odiate con tutta ma stessa.
    Dovessero tornare di prepotenza nelle vetrine, temo subirei una crisi da stress post-traumatico.

    Ma le parigine… devo ammetterlo: le desidero e le temo allo stesso tempo, da anni covo il segreto desiderio di aggiungerle alla pila di vestiti fichissimi che ho indossato mai.

  2. LadyJo says:

    siamo troppo *grandi* per le parigine ormai >_< quando ero in my twenties le portavo, le carni erano sode, l'elastico in cima faceva presa e stavano su con un effetto splendido. Così le autoreggenti, che ora mi fanno l'effetto "fungo atomico" sull'alta coscia/bassa chiappa, ossia nel punto in cui l'autoreggente finisce. Temo che abbiamo passato l'età sbarazzina ç_ç l'unica consolazione possibile è l'adagio morettiano "io gridavo cose giuste, e ora sono una splendida quarantenne".

  3. Parigine, maledette parigine! Se sei magra e hai le gambe giuste per portarle, ciondolano tristi alle caviglie; in caso di presenza di adipe atta a tenerle su, l’effetto cotechino è assicurato! E niente, ci limiteremo ad usarle solo per far foto ai libri!

  4. Claudio anagrafica Colombarini says:

    Meno male che è sparito quel “perizzomi nel sedere”. Tra perizomi e rizomi (di qualsiasi tipo siano) nel sedere ce ne corre. È sempre molto sottile la linea tra dispiacere e piacere. Nell’India sud occidentale, dove si parla il Tulu, hanno la parola Karelu per sintetizzare quello che lei descrive succedere alla pelle insaccata nelle calze traforate ma anche in altri indumenti o orpelli un po’ costrittivi. (“Lost in translation”. Il libro, non il film.) Un ennesimo pezzo fantastico gentile Tesio.

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